A seguito della pubblicazione dei risultati del Concorso “Casa Sanremo Writers – Serie TV”, l’autore Pascal Basile è risultato essere tra i finalisti della competizione letteraria dedicata al piccolo schermo. La sua opera, intitolata “Il mondo che verrà“, è stata attentamente valutata dalla commissione presieduta da Maurizio De Giovanni, scrittore, sceneggiatore e drammaturgo italiano autore di numerose produzioni di successo.
Inoltre, l’opera finalista è stata capace di suscitare subito un grande interesse, grazie alla particolarità dello stile narrativo di Pascal Basile.
Lo scrittore ha trascorso gli anni ’90 facendo l’apprendista alla bottega di Lucio Dalla, ed è qui che ha conosciuto, toccando con mano, quelle architetture misteriose e invisibili che fanno della musica un potente strumento di comunicazione. Quel fortunato incontro ha dato forma e sostanza all’attività di autore, compositore e produttore musicale che tuttora svolge nel suo studio di Bologna.
Nelle lunghe giornate in studio, Il suo gioco preferito è quello della sperimentazione a cui aggiunge contaminazioni, meticolosa ricerca e caparbia ostinazione nel tentativo di produrre sonorità autentiche, produzioni musicali non omologate e canzoni capaci di camminare da sole sulle gambe della loro sincerità.
Ecco perché ve lo presentiamo nell’intervista seguente, aspettando la serata conclusiva di Casa Sanremo Writers che si svolgerà nella settimana del Festival.
Quando hai scoperto di avere la passione per il cinema e la scrittura?
Cinema e scrittura fanno rima con creatività, e la creatività è vita, al punto da contenerne la stessa parola addirittura accentata. Tutti nasciamo creativi, e il contesto storico e culturale in cui cresciamo fa il resto. In casa mia non è mai mancata la musica: mia madre mi ha cresciuto a latte e Ray Charles. Poi in età adolescenziale, a mia insaputa, mi è esplosa la febbre incurabile della musica, della canzone. Qualche anno dopo, è stato l’incontro con Lucio Dalla a farmi capire che cinema e musica, seppur utilizzando arnesi di comunicazione diversi, sono la stessa cosa perché entrambi raccontano storie vere, verosimili, immaginarie: le canzoni, quelle fatte bene, sono film che durano 4-5 minuti. Presa consapevolezza di queste meraviglie dell’esistenza, il passo di scrivere canzoni – dopo averne compreso la chimica che le governa – è stato un riflesso immediato. Durante la scrittura de “Il mondo che verrà” ho dovuto rinunciare al vizio della sintesi che è proprio del format “canzone”. Questa rinuncia mi è costata una tale fatica da farmi giurare e spergiurare che “Il mondo che verrà” sarebbe stato il mio primo e ultimo libro. Forse.
Di cosa parla l’opera che hai inviato a Casa Sanremo Writers?
“Il mondo che verrà” parla dell’inevitabilità del cambiamento, in particolare di un cambiamento socio-economico di portata epocale a cui, secondo me e secondo logica, non possiamo più sottrarci. Il mondo, dagli inizi dei tempi, ha vissuto secondo regole sociali ed economiche che oggi – vista la complessità delle società rette su economie ormai folli, bulimiche e autolesionistiche – non sono più sostenibili.
Un cambiamento così radicale è impossibile senza un fatto scatenante e, nel racconto, quel fatto scatenante è una tempesta solare (evento scientificamente verosimile) di una tale portata da mettere fuori uso i sistemi di approvvigionamento energetico di tutto il pianeta Terra.
La conseguenza di questo blackout planetario, durato 2 anni, è che le società, nel giro di due mesi, tornano allo stato medievale. Sarà l’istinto di sopravvivenza e il buonsenso a escogitare un nuovo modo di vivere l’esistenza, riformulando da zero la Carta dei Diritti dell’Uomo basata su un’organizzazione economica nuova, mai sperimentata prima, che vede come protagonista assoluta la scomparsa totale e definitiva del denaro sostituito dal tempo. Il tempo di ognuno al servizio di tutti. Come sarà possibile? Lo racconto ne “Il mondo che verrà”.
Cita un passaggio-chiave della tua opera e spiegaci cosa racconta di te.
“[…] ci illudevamo – perché ci illudevano – di essere liberi solo perché il denaro ci consentiva di fare o non fare ciò che desideravamo. In realtà agivamo spinti dal desiderio di desiderare […]“.
Probabilmente è questo il passaggio che tiene insieme il movente della scrittura de “Il mondo che verrà” e il mio personale senso dell’esistenza: la libertà è il respiro primordiale a cui tutti aspiriamo anche senza volerlo. Non la libertà di fare quel che si vuole, piuttosto la libertà di essere ciò che si è, spogli da condizionamenti e pregiudizi. Una libertà che dovremmo avere dentro per realizzare quell’equilibrio psico-fisico che io chiamo bellezza (se non felicità). Il desiderio di desiderare è la prova provata del fallimento delle società occidentali, che si sono arrogate il diritto di fare il bello e il cattivo tempo dell’intera umanità. Oggi non desideriamo più le cose per la loro utilità o la loro bellezza: l’economia di mercato ha talmente consumato se stessa che, per continuare ad esistere, ricorre all’invenzione delle necessità. Se un tempo si acquistavano beni per un reale bisogno (penso al frigorifero, al telefono, all’automobile…), oggi che quel bisogno è soddisfatto è necessario creare un meccanismo che continui ad alimentare il consumo al di là del bisogno.
Ed ecco che dal desiderare cose, l’equazione economica attuale ci ha condotto a desiderare desideri per poter consumare qualsiasi cosa, indipendentemente dalla necessità reale.
Abbiamo avuto tutto annichilendo il desiderio. Ora è caccia grossa al desiderio.
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