- Ci presenti il suo libro.
“La verità delle cose negate” è il mio romanzo d’esordio, scritto in un periodo particolarmente difficile per la mia vita personale. L’ho redatto infatti durante il primo lockdown, quando ho avvertito l’esigenza incessante di fare una profonda analisi interiore e rimediare a tutti quei problemi che mi portavo dietro come macigni. Il libro è per lo più autobiografico e tratta tematiche dense, come quella dell’accettazione di sé, dell’amor proprio, del superamento dei limiti e delle proprie fragilità e, non da ultimo, di diversità e disabilità, visto che io stessa sono portatrice della sindrome di Jarcho Levin, una malattia genetica assai rara ed estremamente mortale nel primo anno di vita del bambino.
Il romanzo è scritto sotto forma di diario, di lunga lettera al lettore -anche per costruire un ponte tra me, che l’ho scritto, e chi poi lo andrà a leggere- e segue le vicende di Isabella, un chirurgo ortopedico, che, arrivata ad un certo punto della sua vita, sente l’esigenza di comprare un quaderno ed annotarvi dentro tutti i suoi pensieri più reconditi. Riannodando il filo dei ricordi, Isabella ritorna ad un anno della sua giovinezza, un anno in cui ha conosciuto persone -soprattutto un grande amore- e ha vissuto delle esperienze che l’hanno cambiata nel profondo. Adesso si trova ad un bivio della vita: che fare? Accettare questo cambiamento, buttarsi nell’ignoto, e diventare davvero la persona che vuole essere o continuare a vivere nella sua confort zone?
Quando ho creato il personaggio di Isabella, ho voluto darle dei connotati “particolari” di tante eroine della letteratura contemporanea: intanto è una donna in un mondo di uomini, quale la medicina; è complessa, irriverente, empatica, sensibile, coraggiosa, tenace ed anche un po’ contradditoria, come lo siamo tutti, soprattutto in alcune fasi della nostra vita. Io volevo un personaggio che fosse realistico ed imperfetto perché imperfetta è la vita e così l’essere umano. Soprattutto per una donna, credo esista una pressione eccessiva nell’essere perfetta, fisicamente ed emotivamente, ed io, questo stereotipo, l’ho voluto combattere dando ad Isabella un’aberrazione, una disabilità, che poi è la stessa che ho anche io. Isabella si racconta a cuore aperto e rinvanga un passato di dolore, di sofferenza, ma anche di grande speranza e forza di sopravvivenza. Il messaggio che vuole lanciare dalla sua esperienza è che è possibile rinascere dalle proprie ceneri, come fenici novelle.
- Ci regali un breve stralcio dell’opera, una parte che per lei è particolarmente significativa.
È stato difficile cercare un brano che rappresenti il romanzo, appunto perché sono molto le tematiche trattate. Ma voglio condividere con tutti voi un passo che parla di “diversità”, affinché si abbatta il muro del normodotato contro la persona disabile. La scienza ci dice che il Dna umano è diverso per ogni singola persona, quindi non ne esiste una uguale ad un’altra, come si suole pensare. Siamo tutti diversi e per questo, siamo tutti speciali.
“Forse anche quando avevo tre o quattro anni, c’era una parte di me che aveva già compreso. Io non so se queste cose si possano percepire, ma questa è la sensazione che ho avuto, durante tutta la mia vita. Che in qualche modo io abbia sempre saputo, dentro di me, di essere diversa dalle persone che mi ruotavano intorno, da quelle che incontravo, anche per caso, da quelle che poi finivano per diventarmi amiche. E so che il termine diversa è una mostruosità indicibile, ma perdonatemelo”.
Isabella qui fa una riflessione sulla sua infanzia, quando, da disabile, ha capito che ci fosse una differenza sostanziale tra la sua vita e quella dei coetanei. È da qui che nasce un senso di solitudine all’interno della protagonista, un’incomprensione da parte della società che si porterà sempre dietro e che io stessa, oltre al bullismo, ho vissuto in quegli anni. Non ho inventato niente a livello emozionale per essere il più sincera possibile con il lettore e spero che il messaggio venga accolto.
- C’è un aneddoto particolare che l’ha spinta a scrivere questo libro?
Non è esattamente un aneddoto, ma è una storia intera, più precisamente, la mia storia. Sono nata 25 anni fa con la sindrome di Jarcho Levin, una malattia genetica recessiva assai rara che ha il 99% di probabilità di morte nel primo anno di vita. La prognosi data il giorno della mia nascita ai miei genitori era morte certa per soffocamento. Ma non si sa in quale modo il mio cuore non ha voluto cedere ed ha continuato a battere. Prima per giorni, poi per mesi interi. Allora i miei genitori hanno peregrinato per tutti gli ospedali d’Italia, ma tutti arrivavano alla medesima conclusione: il mio caso non era compatibile con la vita. Soltanto all’estero, a Parigi, un chirurgo sentì della mia problematica e si decise a farsi avanti, proponendo un percorso sperimentale. Il suo è stato il tentativo che mi ha salvato la vita. Dopo 24 operazioni chirurgiche alla colonna vertebrale, un infinito numero di corsetti di plastica e gessati, protesi in acciaio lunghe tutta la schiena, io sono viva.
E da questa vicenda ho tratto “La verità delle cose negate”.
- Cosa si aspetta dalla partecipazione a Casa Sanremo Writers 2023?
Da Casa Sanremo mi aspetto di imparare molto e di divertirmi, vivendomi intensamente ogni momento che proverò durante la rassegna. Ovviamente il mio obiettivo è anche quello di far conoscere il mio libro e la mia storia, che possa essere un esempio per tanti che soffrono ed hanno perduto le speranze. Io sono la prova vivente che i miracoli possono accadere. E, poi, non vedo l’ora di condividere la mia passione per la scrittura con tutti i miei colleghi, che mi daranno la spinta e la tenacia per scrivere ancora e raccontare storie.