1. Ci presenti il suo libro.
L’Ultimo abbraccio vuole essere un messaggio di speranza per chi sta indietro, per chi ha perso tutto, per chi è caduto senza averne colpa, per chi pensa che raggiungere i propri sogni sia soltanto una questione di fortuna.
La storia si consuma in Ucraina, ma con la attuale guerra non c’entra niente. Il libro finisce nel 2007. Ma è una testimonianza fedele e spietata di un territorio e di un popolo fiero alle prese da sempre con grandi sfide da affrontare.
Dimitri Wozniak è il protagonista principale del racconto. E’ un ebreo polacco, scampato con la sua famiglia, al rastrellamento nazista durante la seconda guerra mondiale. Riuscirà a integrarsi a Pozen, città che non esiste sulla mappa geografica, ma esiste nella realtà con un altro nome.
Dimitri è un uomo solo. La prematura morte della moglie lo ha distrutto e la fuga da casa del figlio Gleb è stato il suo colpo di grazia. L’unica persona al mondo con la quale ha un contatto è sua sorella Maria, che vive a Vladivostok. Con Maria ha diviso il dolore della perdita dei genitori, quando erano ancora ragazzi, e la segregazione in un internat (orfanotrofio).
Ma di protagonisti del romanzo ce ne sono tanti. Vi è un intreccio di personaggi con il loro fagotto di dolore e solitudine. Un giorno Dimitri si prenderà cura di Svetlana, una bambina di Mosca, trasferitasi a Pozen con la madre Alina dopo la tragedia di Chernobyl, e scoprirà che amare un bambino non dipende da questioni genetiche o di parentela. É solo un istinto naturale.
Qualche anno più tardi Svetlana, dopo la morte della madre, entrerà anche lei nello stesso orfanotrofio dove aveva vissuto Dimitri. E lì, in quel luogo dimenticato da Dio, che Dimitri aiuterà Svetlana e altri quattro suoi coetanei senza famiglia, portatori di angosce e dolori, e con una vita da vivere senza speranze.
2. Ci regali un breve stralcio dell’opera, una parte che per lei è particolarmente significativa.
“Cascasse il mondo, Dimitri Wozniak si svegliava sempre alle sei del mattino, con la puntualità di un orologio svizzero. Dai brividi di freddo che lo assalirono in quell’alba del 22 dicembre 1987, ebbe il presentimento che quello sarebbe stato l’inverno peggiore di sempre. Ne ebbe la riprova quando si accorse che, in poche ore, Pozen era stata sepolta da due metri di neve. Sbadigliò, intonando il verso di una vecchia canzone, si specchiò per ricevere la conferma delle sue rughe e poi si diresse in cucina percorrendo un gelido corridoio”.
3. C’è un aneddoto particolare che l’ha spinta a scrivere questo libro?
Questo libro, ambientato in Ucraina nel dopo Chernobyl, parla di bambini abbandonati e di un anziano che si prenderà cura di loro. Si tratta di un libro nel quale ciascuno di noi può rispecchiarsi, perché narra di vicende universali che non hanno luogo né tempo. Chiunque di noi, almeno una volta, è stato messo spalle al muro dalla vita, e chiunque di noi ha dovuto fare i conti con la propria solitudine. Ci sono tanti personaggi in questo racconto, descritti nella loro umanità, nella loro grandezza e nella loro meschinità. In questo intreccio di persone si coglie il senso del vivere tra e con gli altri. C’è chi ha fatto della propria esistenza un capolavoro e chi l’ha sprecata. C’è chi da un dolore ha tratto la forza per prendere morsi la vita e chi si è lasciato andare. C’è il messaggio potente che si può essere genitori di figli che sono stati generati da altri, e che la paternità e maternità non sono per forza una questione genetica, ma solo di cuore.
4. Cosa si aspetta dalla partecipazione a Casa Sanremo Writers 2023?
L’esperienza a Casa Sanremo è una grande soddisfazione per qualsiasi scrittore, una sorta di fiore all’occhiello.