Autore: Marta Brioschi
Opera: Ferite a fior di labbra
Ci presenti il suo libro.
Di COSA PARLA?
Emma è una psicologa trentenne che si occupa di dipendenze. Lo studio per cui lavora le assegna un gruppo di dieci pazienti con una dipendenza molto particolare, quella alle serie TV asiatiche. Le sedute serali sembrano procedere senza intoppi, fino a quando una serie di efferati omicidi getta nel panico il quartiere e tra i cadaveri spunta proprio uno dei pazienti di Emma.
L’intreccio di questo mio terzo romanzo giallo ruota intorno al tema attualissimo della violenza, ma spostando l’attenzione del lettore su uno spettro più ampio delle sue manifestazioni tra le quali quella dell’omicidio e dell’abuso fisico rappresentano solo la punta dell’iceberg.
Con il mio romanzo spero di stimolare una riflessione soprattutto sulle conseguenze psicologiche delle azioni violente, non solo su chi le subisce, ma anche sul tessuto sociale che ne è il contesto. Per farlo, ho scelto di affrontare lo spinoso tema dei traumi e dello stress post traumatico derivante anche da piccoli eventi, apparentemente insignificanti che tuttavia, una volta reiterati nella quotidianità producono danni anche gravissimi.
COME NASCE IL TITOLO?
Il titolo fa riferimento proprio a questi ultimi. “A fior di labbra ” è infatti una locuzione che significa “appena accennato”- come un bacio a fior di labbra, per esempio – a indicare quei traumi che sono solitamente ignorati anche dalle persone più vicine, spesso vissuti come una colpa e dunque taciuti. Il titolo suggerisce anche che le parole tutte, anche quelle che per natura sembrano più leggere – le “parole a fior di labbra” non sono poi nient’altro che sussurri, in fondo – possono infliggere sofferenze durature all’anima quando vengono usate in modo improprio, anche inconsciamente, per ferire, controllare e manipolare il prossimo.
Ci regali un breve stralcio dell’opera, una parte che per lei è particolarmente significativa.
“Una voce annoiata rispose al suo lieve bussare ed Emma entrò in un locale angusto, poco più grande della monumentale scrivania lignea carica di pile di documenti e faldoni che si trovava al centro. L’assistente sociale, un uomo canuto con degli occhiali annebbiati dallo sporco in bilico sulla punta di un naso aquilino, la invitò a sedersi, operazione che richiese una certa destrezza, visto che lo spazio disponibile era insufficiente a sfilare la sedia di sotto il tavolo per lo spazio necessario a sedervisi senza contorcersi strisciando tra legno e metallo. Quando finalmente Emma riuscì nell’impresa, l’uomo aprì una cartellina di fronte a sé: «Artem Baren. Nato a Kiev il 20 aprile 2005…» L’uomo s’interruppe e guardò dritto in faccia la convenuta. «È quasi maggiorenne, il ragazzo…» Riprese la lettura e da quell’osservazione tutt’altro che innocente, Emma trasse la conferma che l’uomo considerasse il suo incarico più un impiccio che un lavoro. «Vedo qui che è in affido presso la famiglia Canova da sei mesi. Già… il padre è tornato in Ucraina quando il soggetto era piccolo. La madre è una poco di buono che vive di espedienti e piccoli furti, le è stata tolta la patria potestà… Bene, bene… Ha vissuto con la nonna paterna fino a due anni fa, quando è deceduta, poi una casa famiglia e infine l’affido. La nonna gli ha lasciato un appartamento e una piccola eredità… non abbastanza per viverci, ma sempre meglio che finire per strada. Il ragazzo è intelligente, se la caverà. Tra poco compirà diciotto anni e potrà andare a vivere da solo. È messo meglio di tanti altri ragazzi che seguiamo.» Emma era confusa. «Mi scusi, ma non capisco allora perché mi abbiate convocata. Pensavo voleste parlarmi degli ultimi eventi, che voleste delle spiegazioni sul perché si è rivolto a me quando si è trovato nei pasticci e del perché non è voluto tornare dai Canova.» «Ah, non gliel’hanno detto? Adesso le spiego. La famiglia affidataria ha avuto già dei problemi con il minore. Non è la prima volta che sta fuori la notte senza avvertire e loro preferirebbero rimandarlo in comunità. Al momento, tuttavia, non abbiamo posti disponibili e il ragazzo sarà comunque presto maggiorenne, per cui volevamo proporle di accoglierlo in stallo per i due mesi che mancano. In fondo lui pare aver sviluppato un buon rapporto di fiducia con lei.» La donna ora era sbalordita. «Intende dire “in stallo” come se fosse un gatto randagio?» Per la prima volta l’assistente sociale le sorrise. «Lasci perdere i tecnicismi. Ha capito bene cosa intendo.» «Ma non sapete nemmeno chi sono!» «Certo che lo sappiamo e tra l’altro è anche una collega. Non solo potrà ospitarlo, ma anche fornirgli il necessario supporto psicologico.» Il volto dell’uomo rivelava una velata impazienza. Era chiaro che non vedeva l’ora di stralciare il nome di Artem dal suo faldone e che in lei stava riponendo le ultime speranze. Emma comprese in quel momento tutta la paura d’abbandono e la rabbiosa frustrazione che Artem aveva espresso nelle ultime ore e si pentì di non aver intuito sin dal loro primo incontro quanto avesse bisogno di trovare sul suo cammino un adulto responsabile e compassionevole. Si alzò, cercando di sembrare tanto autorevole e composta quanto le permetteva lo scranno, mentre le sue gambe metalliche stridevano contro il pavimento. «Allora d’accordo. Mi occuperò di Artem fino alla maggiore età. Avrò però bisogno di accedere alla sua scheda. Se è tutto, avrei un altro appuntamento, adesso.»”
C’è un aneddoto particolare che l’ha spinta a scrivere questo libro?
A differenza dei precedenti, questo è un libro molto personale, anche se non è assolutamente autobiografico, fortunatamente. La storia è del tutto inventata, ma alcuni personaggi sono il frutto di esperienze ed incontri che ho fatto di persona. Il tema della violenza e dei traumi mi ha toccato in diverse fasi della mia vita in modi differenti. In particolare, il personaggio di Artem, che appare nel brano riportato sopra, mi è stato ispirato da storie che ho incontrato lungo la via, tanto che il nome del ragazzo e il fatto che sia ucraino l’ho preso in prestito dal migliore amico di una delle mie figlie, una persona straodinaria con una storia difficilissima alle spalle, anche se diversa da quella del mio personaggio. Ho scritto il libro con l’aperta intenzione di far riflettere sull’importanza della salute mentale e sulle ripercussioni che atteggiamenti tossici, anche apparentemente piccoli, possono avere, soprattutto se agiti in ambito familiare. Tra l’altro vorrei che si parlasse di più della Sindrome Post Traumatica Complessa, non ancora riconosciuta in Italia dal Sistema Sanitario come disturbo mentale, che riguarda una porzione sempre maggiore della popolazione giovanile ed è causata, a differenza della Sindrome Post Traumatica da Stress tout-court, non da un singolo grande evento traumatico (esempio: una violenza sessuale, un bombardamento, ecc.), bensì da una serie di traumi di piccola entità che però si protraggono nel tempo.
Che cosa si aspetta dalla partecipazione a Casa Sanremo Writers 2024?
Mi aspetto di rivolgermi a un pubblico attento e interessato ad aprire un dialogo su questi temi e naturalmente ad incuriosire i lettori, invogliandoli a cercare il mio libro.