Autore: Roberto Lazzari
Opera: L’Urlo
Ci presenti il suo libro.
È una storia strana e bizzarra. Una storia che si svolge a Perugia, ai nostri giorni, ma che strettamente si intreccia con il più remoto e misterioso passato di questa antica città, nella quale, per singolare coincidenza, scavi recenti hanno portato alla luce testimonianze, che cambieranno in modo radicale il nostro modo di considerare l’oscuro popolo degli etruschi.
Ma “L’Urlo” è anche l’occasione di toccare argomenti diversi, in particolare quello della necessità e dell’importanza della scelta individuale, della volontà di cercare un principio interpretativo della realtà, che non sia necessariamente – e banalmente – materialistico, insieme con tutti quelli connessi a questo tema di fondo: l’effettiva possibilità di una scelta, il ruolo del tempo, le conseguenze di una scelta sbagliata, il peccato.
Non è un libro pesante, però. Gli scorci di Perugia e i suoi locali più caratteristici ne invadono le pagine con i loro odori e sapori e con il profumo di innumerevoli tazze di caffè, che svegliano, fanno riflettere e creano amicizia.
È un libro ponderoso, forse. Ma chi avrà l’entusiasmo di iniziare a leggerlo e la pazienza di arrivare fino in fondo, giunto all’ultima pagina, si accorgerà di aver ricevuto in cambio qualche cosa.
Ci regali un breve stralcio dell’opera, una parte che per lei è particolarmente significativa.
La sveglia, quella mattina, non suonò alle sette precise. Edoardo la disattivò un paio di minuti prima che suonasse. Gli capitava sempre così. Appena sveglio aveva controllato l’ora: le sei e venti. Al solito: non c’era abbastanza tempo per sperare di riaddormentarsi, ma ce ne era troppo per alzarsi e prendersela semplicemente più comoda. Era rimasto nel letto, supino, con gli occhi chiusi e la mente che girava ancora al minimo, mentre le solite preoccupazioni, come postulanti a uno sportello chiuso, dietro al quale stia iniziando a prepararsi un impiegato, cominciarono ad assediarlo, una dietro l’altra, ognuna al suo posto, ognuna con la pedante documentazione del suo caso.
Pensò alla giornata che lo attendeva all’Università, ma quasi subito si sentì preso dal quotidiano ingranaggio del tempo degli uomini, da organizzare, riempire, utilizzare con efficienza. Se ne liberò come poté, ritraendosi ancora nella piccola isola franca del suo riposo notturno, mentre questa continuava a scomparire, veloce e inarrestabile. Le sei e trentanove. Adesso, forse, si sarebbe anche potuto alzare. Ma poi immaginò che più tardi, nella lunga giornata che lo avrebbe travolto, rumorosa ed esigente, si sarebbe pentito di aver rinunciato a quei pochi minuti residui di silenzio e di buio, quando tutto ciò che gli altri avevano il diritto di aspettarsi da lui era quiete e immobilità. Chissà come, gli tornò alla mente un documentario, che aveva visto tanto tempo prima, era ancora soltanto un ragazzo: parlava degli animali che vivono nel deserto. Alcuni di essi riescono a rimanere fermi e immobili per mesi, nel profondo di un buco nel terreno, aspettando la pioggia torrenziale che, per un breve periodo, li richiamerà alla vita. Una specie di rana, in particolare. Si immaginò di essere nulla di più che uno di questi animali, fermo, sospeso nel tempo. Lentamente iniziò a scivolare per l’invitante pendio dell’ottundimento e del sonno e provò la sensazione di liberarsi dei propri sensi e dei propri pensieri, come di inutili e opprimenti vestiti, nella corsa verso l’infinito oceano dell’incoscienza di sé. Ma quando già da lontano vedeva scintillare nel crepuscolo le fantasmagoriche terre dei sogni, che attendevano la sua visita, un pensiero lo trattenne al limitare di quel mondo lungamente desiderato: è tardi, bisogna che mi alzi. Aprì gli occhi e non vide più nulla. La visione si dileguò rapidissima ed egli comprese che non avrebbe potuto trattenerla, perché le sensazioni e le emozioni che l’alimentavano sfuggivano dalla presa della sua mente razionale, come rivoli d’acqua dalle maglie risibilmente larghe di un retino. La sveglia richiamò la sua attenzione. Edoardo la disattivò un paio di minuti prima che suonasse. Gli capitava sempre così. E se ne vantava, pure.
C’è un aneddoto particolare che l’ha spinta a scrivere questo libro?
Il titolo del romanzo è “L’urlo”, perché l’idea che lo ha ispirato è quella di narrare la storia immaginaria, che provoca l’urlo dell’angosciata figura in primo piano nel celebre quadro di Munch.
Come scrivo nella mia prefazione, la prima volta che lo vidi, non riusciì a staccare gli occhi dalla tela per infiniti minuti. Non so perché, ma mi chiesi immediatamente la ragione per la quale la figura in primo piano stesse urlando in quel modo tanto disperato, con un’angoscia resa ancor più terrificante dall’apparente indifferenza delle due figure in sottofondo, che continuano a camminare, forse a parlare tra di loro, come se nulla stesse accadendo: ma poi, sono davvero ignare di ciò che sta capitando? O, forse, per qualche oscura ragione, sono proprio loro i responsabili dell’orrore che fa urlare il personaggio principale? E perché non si scorgono i loro volti? Siamo proprio sicuri che si stiano allontanando? O non stanno forse sopraggiungendo? Vogliano soccorrere la creatura che urla o il loro obiettivo è quello di farla definitivamente tacere? Ricordo che cercai lungamente, tra i più piccoli dettagli della tela, un particolare rivelatore, che orientasse la mia interpretazione in un senso piuttosto che in un altro, un qualche indizio, che mi consentisse di intuire la storia di orrore che si nascondeva dietro quelle angoscianti macchie di colore. Invano. Tutte le interpretazioni, per quanto fantasiose, per quanto astruse, risultavano possibili, plausibili perfino, ognuna apparendo sorretta da un qualche piccolo segno della tela, una sfumatura di colore, un dettaglio insignificante, a prima vista senza alcuno scopo particolare. Tutte possibili. Quella tela era il sunto supremo di tutti gli orrori dell’umanità, quell’urlo era l’urlo di tutti gli uomini e di tutte le donne che avevano calcato con pena infinita la faccia della Terra, colti nel terribile istante in cui scoprono, con attonita angoscia, la cieca ineluttabilità del male, l’assurda realtà della violenza. La stessa apparenza androgina e senza età dell’esile creatura in primo piano mi parve potesse giustificare un’interpretazione così universale del senso di sofferenza trasmesso dal quadro. Non conoscevo ancora, a quell’epoca, la spiegazione che lo stesso artista norvegese dà nei suoi Diari, in merito alla genesi del dipinto. Una spiegazione angosciante, peraltro, la più angosciante di tutte, probabilmente. Non la conoscevo e mi sono divertito a immaginarla, ma non una soltanto, molte invece e diverse. Venti. Ho immaginato venti ragioni diverse per cui la figura in primo piano debba urlare in un modo così disperato, venti storie differenti il cui epilogo potrebbe essere pittoricamente rappresentato dal capolavoro di Munch. L’Urlo, per l’appunto, racconta una di queste storie.
Che cosa si aspetta dalla partecipazione a Casa Sanremo Writers 2024?
Mi aspetto semplicemente che il mio romanzo possa raggiungere un pubblico vasto, eterogeneo e interessato alla lettura. Tutto il resto, se verrà, verrà da sé.