Autore: Paolo Chiappero
Opera: Fuga da Berlino
Ci presenti il suo libro.
Questo romanzo è tratto da una storia vera, quella dell’incredibile fuga in auto di due soldati italiani, mio padre e un suo compagno meccanico, dal lager nazista nel quale erano stati deportato ai lavori forzati. La scrittura di questo racconto però non è solo il mio tributo postumo agli eroi della mia vita. Immedesimarmi in loro, cercando di rivivere quella esperienza terribile ed eccitante allo stesso tempo, mi ha reso consapevole di un’altra verità a me, come ai più, sconosciuta: la grandezza del fiero rifiuto di gran parte dei soldati italiani, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, di aderire alla Repubblica di Salò e di integrarsi nell’esercito nazista e diventarne, quindi, nemici. L’ira di Hitler in persona si abbatté sugli “italiani traditori”. Fu un un “no”, che costò venti mesi di lager e di lavori forzati in Germania a quasi settecentomila uomini, gli Internati Militari Italiani appunto e, per cinquantamila di loro, anche la vita. Un gesto di resistenza passiva che in Italia venne invece travisato come “collaborazionismo” e cancellato dalla memoria. Per tale ragioni la mia attenzione si è progressivamente spostata dall’avventura all’introspezione, alla comprensione delle motivazioni di un rifiuto tanto coraggioso quanto eroico che anche io, figlio di un internato, non avevo colto e compreso appieno. Ho quindi “approfittato” della storia di mio padre per portare inconsapevolmente il lettore dentro la vicenda della cosiddetta “Altra resistenza”, quella degli Internati Militari Italiani appunto, che con colpevole ritardo si sta’ riscoprendo solo in questi ultimi anni. Interpreto il mio libro come una sorta di atto di giustizia postuma, una scrittura che ha voluto colmare un vuoto: una celebrazione romanzata che mancava nel mondo dell’editoria e anche in quello del cinema, ispirato ai capolavori sul Vietnam ed ai romanzi latinoamericani durante le dittature. In tutto questo forse mi ha aiutato l’essere tra i più giovani figli di ex internati. Ho 57 anni e scritto il libro a all’età di 50. La speranza è il lavoro si concluda con una trasposizione cinematografica che consenta la massima divulgazione della vicenda. I segnali in tal senso sono confortanti.
Ci regali un breve stralcio dell’opera, una parte che per lei è particolarmente significativa.
«Perché?», domanda Rino mentre scala la marcia e ferma l’auto.
«Perché cosa?», ribatté Giacomo sorpreso.
«Perché quel soldatone russo ha rischiato la pelle per salvare due poveracci come noi? Cosa ci ha guadagnato?».
«È da quando ci siamo separati che ci penso», risponde l’altro appoggiando il gomito sul finestrino per sorreggere la testa.
«Credo che lo abbia fatto principalmente per se stesso. Per iniziare a ripulirsi la coscienza da tutti gli orrori che ha visto e fatto in questa sporca guerra». Un attimo di riflessione, poi riprende: «Adesso che tutto sta per finire, prova a seppellire con quanta più terra possibile tutta la sporcizia che ha dentro. I nostri abbracci lo accompagneranno per il resto della vita e lo aiuteranno a dimenticare».
«Dimenticare tutto questo? Per me è impossibile. Le facce dei morti, i fischi delle pallottole, gli amici persi, il lager e le urla di quei bastardi dei tedeschi non si possono dimenticare. La guerra ti si appiccica addosso come la pece, e non te ne puoi più liberare. Siamo condannati a combattere per il resto della nostra vita», incalza Rino che nel frattempo ha ingranato la prima ed è ripartito.
«Io invece credo che Borimin abbia trovato la strada giusta per vincere la guerra e ricominciare a vivere. Dovremmo seguire il suo esempio», replicò Giacomo, guardando l’orizzonte e sporgendosi dal finestrino, come per riflettere. «Comunque, la prima cosa che dobbiamo fare è farcela», riprende con tono animato. «Dobbiamo farcela perché tutti sappiano che cosa l’uomo è capace di fare. Il lager è il peggio. La guerra è qualcosa di sbagliato, certo, ma è combattuta con onore tra soldati; il lager è solo sadica, vigliacca violenza. No, non può finire tutto cancellato sotto le macerie dei bombardamenti. La gente deve sapere, affinché tutto questo non possa più capitare.
C’è un aneddoto particolare che l’ha spinta a scrivere questo libro?
In primo luogo, mi preme sottolineare che, anche se meditavo la scrittura da diversi anni, ho composto il libro solo dopo la morte di mio padre: Imporgli di ricordare quei momenti, di ritornare nel lager, sarebbe stato un supplizio.
Gli aneddoti sono stati molti e costellati durante tutta la convivenza con mio padre, durata 44 anni. Tra tutti quello che mi diede “il colpo di grazia”, che convinse un architetto impegnato come me ad entrare nel mondo della scritta, fu la telefonata al compagno di fuga Rino: l’incipit e il finale del romanzo.
Durante le mie ricerche (le loro vite si sperarono sia nella fuga che nel dopoguerra visto che mio padre del 1946 emigrò in Argentina), basate esclusivamente sul suo nome e cognome mi trovai chiamare tutti gli omonimi di Rino che rintracciai sull’elenco telefonico, nella speranza di trovarlo ancora in vita o di avere notizie da un suo parente. Quando nel 2008, sessant’anni dopo la fuga e ancora inconsapevole di averlo trovato, lo raggiunsi al telefono la sua risposta fu per me raggelante: “Sì, lei deve essere il figlio di Giacomo., Giacomo Chiappero, ha la sua stessa voce!. Come sta suo padre?”, poi si mise a piangere. Mi riconobbe dalla voce senza che mi dovessi presentare!
Che Cosa si aspetta dalla partecipazione a Casa Sanremo Writers 2024?
Anche se il libro ha trovato un grande editore come Mondadori, che ringrazio per averlo ritenuto all’altezza di un marchio così prestigioso, la speranza è che si attivi una produzione cinematografica di livello internazionale per trasporre la storia in una in un film e/o serie che riesca finalmente a dare alla vicenda degli Internati Militari Italiani il giusto riconoscimento mediatico. A tal fine ho scritto anche il sequel di FUGA DA BERLINO dal titolo DEAR JFK ambientato nel 1961 in Argentina ove mio padre emigrò fondando una importante casa di imbottigliamento di acque minerali. Il punto di contatto tra le due storie, frutto di fantasia, è che mio padre riconoscerà in un fioraio di Cordoba il comandante del lager di Berlino. E’ una storia che miscela la volontà di rinascita e di resilienza (vera) con lo spionaggio internazionale. Sarebbe per me eccezionale che, con l’aiuto di casa San Remo Writers, si possano attivare interessi in tal senso.