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Giuliano Adler – “La pagliuzza d’oro”

Autore:

Giuliano Adler

Opera:

“La pagliuzza d’oro”

Ci presenti il suo libro. Un dirigente di una multinazionale superati da poco i cinquant’anni, alla morte improvvisa della madre lontana decide di fermarsi per un attimo e, anziché guardare in avanti come abituato da sempre a fare, decide di guardarsi indietro, e ripercorrere così gli anni più remoti della propria vita, partendo dai primi ricordi di bambino nella propria città di origine raggiunta nella funesta circostanza dopo anni di assenza. Vi si ricordano i compagni di scuola, le passeggiate con il nonno, il periodo del collegio, per arrivare alle amicizie mature, agli studi, all’ingresso nel mondo del lavoro, all’inevitabile abbandono della propria città. Il racconto che ne esce – che di fatto ha la struttura di un Bildungsroman – è all’inizio una narrazione di sogni, di piccoli episodi – spesso accompagnati da paure profonde – insieme alla descrizione della vita in una Trieste in cui il ricordo ancora vivo di un passato irripetibile si scontra con le allora recenti ferite della guerra e con una modernità che avanza nel segno dell’indifferenza, per poi cambiare piano di tratto ed arrivare alla stagione dell’età adulta ed allo scontro con la realtà attraverso l’incontro con una generazione di sconfitti, per tentare infine di concludersi in una sorta di riconciliazione con la realtà attraverso la scoperta del lavoro e del suo valore: “Il lavoro è il giuoco degli adulti. Se si riesce a fare del lavoro un giuoco, allora è fatta, ha senso lui per noi ed a ha senso per la nostra vita” (pag.262).

Ci regali un breve stralcio dell’opera, una parte che per lei è particolarmente significativa. “Perché ho così tante cose da raccontare della mia infanzia, adolescenza e giovinezza? così tante di più di quante credo di poter essere in grado di raccontare della mia maturità, benché quest’ ultima abbia coperto uno spazio di tempo assai maggior della prima e sia stata oggettivamente enormemente più ricca di avvenimenti? Forse una volta che uno è cresciuto la storia è fatta e non c’è più nulla da dire? la scalata è finita ed è solo un comodo noioso altipiano? Abbiamo già raggiunto il nostro peso specifico e da quel momento in avanti c’è solo manutenzione di sé stessi, un galleggiare pigramente a mezz’ altezza? O semplicemente il ricordo si era fissato più profondamente allora? Sono stato in oltre trenta paesi in tutto il mondo ed ho vissuto in otto città ma potrei raccontare meno di questo di quanto non ho detto finora di una radiolina, di un teatrino di legno, o di una testa d’orso impagliata” (pag.172);

C’è un aneddoto particolare che l’ha spinta a scrivere questo libro? Più che di un aneddoto, parlerei di una condizione. Ho iniziato a scrivere dopo i cinquant’anni suonati, e quindi dopo aver fatto le principali cose che un uomo del mondo di oggi è chiamato a fare: ho fatto i miei studi, ho lavorato, mi sono fatto una famiglia e ho cresciuto dei figli e alla fine di tutto questo, di questa parte “espansiva” della vita, mi sono proprio trovato proprio su quell’altipiano di cui ho parlato, e scrivere è stata la mia risposta a come vivere quel momento. Scrivere è forse un modo di vivere ulteriori vite che diversamente non si vivrebbero mai.

Che cosa si aspetta dalla partecipazione a Casa Sanremo Writers 2024?

Mi aspetto di suscitare della curiosità di lettura da parte di qualcuno, e possibilmente un interesse nei confronti dei miei lavori.