Autore: MARIA GIOVANNA SANTUCCI
Titolo dell’opera: DIECI CUOCHI “DENTRO” – I RAGAZZI DELL’ICATT DI EBOLI
- Ci presenti il libro, utilizzando solo tre aggettivi per descriverlo…
Creativo, umano e redentivo.
- Da dove ha tratto l’ispirazione per la stesura di questo libro? C’è un aneddoto o una storia particolare che l’hanno spinta a scriverlo?
È un progetto di cucina nato dalla convinzione che la preparazione dei piatti diventi non solo una via di fuga, ma anche una forma di riscatto personale e di connessione con il mondo esterno. Momenti chiave: l’incontro con Achille, un giovane detenuto dell’Istituto ICATT, il quale mi ha raccontato di come la cucina fosse per lui uno spazio vitale di libertà, di creazione e di riconnessione con il passato… quello buono! Di colpo ho ripensato a un amico giornalista (ho dedicato a lui il libro), specializzato in enogastronomia: vent’anni prima aveva vissuto – anche se solo per pochi mesi – il dolore del carcere. Carlo, il suo nome: trascorreva le sue giornate a scrivere di cibo, a dare suggerimenti ai compagni di cella su come preparare alcune pietanze, a discorrere di filosofia e di religione insieme al cappellano; in quel luogo tutti scambiavano idee e riflessioni profonde, usando il cibo come metafora e chiave di lettura. Tutto ciò mi ha spinto a raccogliere i pezzi di vita e le ricette dei giovani detenuti. Voglia di trasformazione attraverso il ricordo che si fa suggestione, voglia di sentirsi a casa, in quel posto intimo ed accogliente dove la cucina diventa quel sogno in cui rifugiarsi mentalmente per sfuggire alla durezza della realtà.
- Perché i lettori dovrebbero leggere il suo libro?
Il libro offre uno sguardo autentico e intimo sulle vite dei giovani detenuti e invita a riflettere sul potere catartico del cibo.
Il cibo e le ricette diventano un veicolo di memoria, un ponte tra il passato e il presente, giocano un ruolo fondamentale di connessione per il futuro. Attraverso il cibo i detenuti esprimono la loro identità e le loro radici culturali, nonostante la condizione di prigionia, mostrandoci come anche nei luoghi di grande sofferenza possa rinascere la speranza. Accade questo grazie alle ricette della memoria, ai racconti di emozioni annusate, e alla voglia di riscatto: ogni ingrediente e ogni preparazione rappresentano un pezzo di storia personale, un sogno, oppure un ricordo che dà la forza per continuare.
- Quando si scrive, si ha in mente sempre di arrivare a un destinatario specifico. A chi desidererebbe che arrivasse questo libro? A una persona in particolare, o a una platea più ampia?
Idealmente questo libro si rivolge sia a chi ha avuto esperienze di difficoltà o di reclusione, sia a chi non conosce queste realtà ma è aperto a comprenderle. L’obiettivo è di toccare il cuore di chiunque possa riconoscersi nel desiderio di riscatto e di cambiamento, mostrando che anche nelle situazioni più complesse esiste una strada per la crescita. Preparare e condividere il cibo permette di ritrovare un senso di dignità e normalità, riportando alla memoria sapori di casa e momenti familiari che nutrono l’anima, rendendo la cucina un mezzo di rinascita!
Mi piacerebbe che il messaggio arrivasse, in particolare, ai giovani, affinché questi possano vedere il cibo non solo come nutrimento, come legame familiare, ma come simbolo di espressione e di possibilità.